Stefano Todeschi

Ho 50 anni, sono nato mantovano, ma Bergamo mi ha accolto e adottato dal 2023.

Dal 2016 sono consulente, formatore e divulgatore, specializzato nella pratica di public speaking, nella elaborazione di contenuti per presentazioni, e in interazione umana professionale.

Sono stato performer, attore e regista teatrale. Sono stato anche artigiano, facevo camicie su misura.

Come educatore professionale ho lavorato anche per bambini, adolescenti e persone disabili: è così che, forse, ho compreso di più come lavorare meglio con gli adulti.

Oggi lavoro con imprenditori, manager e professionisti appassionati che vogliono ritrovare la propria passione quando parlano in pubblico.

Quella che segue è la mia storia, se vuoi puoi leggerla, io ci ho messo parecchio non tanto a scriverla, quanto a decidere di condividerla.

Non ero affatto timido

Molti marketer oggi incoraggiano professionisti e imprenditori a raccontare la solita storia banale e trita: quella del personaggio che, nonostante le avversità, alla fine raggiunge il successo.

Tuttavia, la mia storia personale è diversa.

Non ero timido, anzi sin da bambino mi piaceva esibirmi davanti a un pubblico. Perciò decisi di studiare teatro, ma non mi piaceva parlare e raccontare di me. Ero introverso.

Mi piaceva esibirmi, ma tenevo i miei sentimenti e pensieri nascosti agli altri e a me stesso. Questo mi procurò una chiara frattura fisica.

Avevo un'ossessione per la voce bella e la gestualità perfetta, competenze utili nella mia attività di venditore. Ma con tanta tecnica, la mia persona scompariva e io smarrivo la mia individualità.

Ho giocato a ciò che gli psicologi chiamano “evitamento”, aggrappandomi a modelli esterni e all’approvazione altrui. Ma questo significava anche un atteggiamento cinico verso le mie emozioni e i miei sentimenti.

Fino a quando iniziai a somatizzare: le unghie delle mani iniziarono a implodere. A metà della loro lunghezza apparivano come spezzate creando una depressione, un solco chiaramente visibile e palpabile. Mi sembrava normale, lo accettavo, mio nonno le aveva così. Mi ingannavo. Fu l'incontro con una persona che mi aiutò a comprendere cosa stessi facendo. Mi disse che ero capace di comunicare e vendere, ma negavo la mia interiorità a me stesso.

Dopo mesi di riflessioni, riuscii a vedermi solo grazie al teatro senza parole. Cambiai tutto a 39 anni: mi iscrissi al corso di laurea in Scienze dell'educazione e dei processi formativi, abbandonai il mio lavoro e cominciai a lavorare come educatore.

Applicai le mie competenze di teatro nel lavoro con adolescenti, disabili e bambini. Cominciai ad applicare le mie competenze di teatro nel lavoro con adolescenti, disabili, bambini, arrivando a fare anche il maestro nella primaria. Queste esperienze mi hanno permesso di vedermi e rivedermi nella mia storia, e da loro ho imparato parecchio sulle persone e per la mia adultità:

  • dai bambini la curiosità che rende l’adulto vivo e attivo

  • dalle persone disabili la pazienza che rende attenti al respiro di ogni dettaglio

  • dagli adolescenti la tensione all’esistere che rende l’adulto partecipe.

Il lavoro con le persone adulte

Presto cominciai a dedicarmi anche agli adulti, imparando che era il lavoro con bambini e adolescenti che mi permetteva di lavorare meglio e con più profondità anche con gli adulti.

Oggi lavoro con imprenditori, manager e professionisti, aiutandoli a parlare in pubblico con passione. Perché la parola autorevolezza contiene la parola autore: significa che per essere autorevoli dobbiamo poter essere autori delle nostre parole, perciò è vitale conoscerci bene.

Ho capito che il nostro essenziale può anche non essere reso pubblico, ma ciò che conta è che noi ci impegnammo a guardarlo bene e tenerne conto per averne chiarezza. Quando pensiamo solo alla performance facciamo del puro prestazionalismo, utile ma freddo e sterile. Sono introverso e mi ha richiesto molto tempo condividere queste righe sul mio sito personale. Se siete arrivati a leggere sin qui, dovreste averlo compreso.

Nelle relazioni, interazioni e presentazioni possiamo rimanere introversi, tuttavia ciò che conta è prendersi il diritto di guardare questa nostra introversione e vedere cosa abbiamo dentro, in ogni occasione in cui parliamo in pubblico.

Qualcuno potrebbe chiedersi se tutto questo sia psicologia. Mi rendo conto che abbiamo la tendenza a voler dare un nome alle cose. Ma in realtà no, non è - banalmente - solo psicologia.

Questo approccio è tanto di più: è racconto, ricerca e scoperta delle proprie emozioni, idee e stati d'animo nelle situazioni in cui interagiamo con le persone, anche grazie alla tecnica purché strumentale alla relazione umana.

Le tecniche che conoscevo sono utili, e le uso per il public speaking, per le presentazioni e interazioni professionali delle persone con cui lavoro. Tuttavia, non vanno confusi i mezzi con i fini.

Le tecniche sono mezzi. Il fine è il nostro diritto alla nostra personalità unica e irripetibile e al nostro stare con le persone per come siamo.

Abbiamo diritto a esprimerci quando ne abbiamo desiderio e volontà. Questa è la differenza fra la vacuità del sembrare bravi o dare l'apparenza di sicurezza (un'imposizione esterna) e, invece, sentirci sicuri perché ci sentiamo noi stessi. Per esistere e per sentirci autentici.

Se volete, raccontatemi anche voi la vostra storia, io sono qui.

Stefano Todeschi

Luglio 2023

PS

Alcune persone mi hanno chiesto come sono oggi le mie unghie. Ebbene, nel giro di pochi mesi dal mio cambio di vita, divennero presto lisce e piane come quando ero bambino. Ci lavoro ogni giorno, è impegnativo ma anche questo può dare senso a tutto :)

Vuoi contattarmi? Puoi scrivermi qui sotto, ti leggo volentieri :)

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